di Alberto
Asor Rosa da Il Manifesto del 30 Luglio 2014
Quando
si scrive di politica… quando io scrivo di politica, mantengo sempre, per
quanto mi riesce,un atteggiamento di dubbio formale e sostanziale. Sì, è così,
mi sembra che sia così, però… Delle affermazioni e conclusioni contenute in
questo articolo sono invece assolutamente certo. Verrebbe voglia di dire:
allarme, cittadini, sono in pericolo la vostra esistenza e il vostro futuro, e
quelli dei vostri figli. Levate la testa prima che sia troppo tardi.
Mi
riferisco agli atteggiamenti e alle promesse che il governo Renzi dispensa a
piene mani in materia di ripresa economica e, contestualmente, di ambiente,
territorio, beni culturali, paesaggi italiani.
Non c’è
in giro il minimo straccio di piano industriale. Ma in compenso c’è, a quanto
sembra, un piano ormai pensato ed elaborato, anche nei suoi particolari
dispositivi di attuazione, per quanto riguarda il già troppo martoriato volto
del nostro paese, cui si continua a ricorrere, in mancanza di altro, tutte le
volte in cui si deve dare l’impressione di rimettere in movimento la macchina.
Qui il più spregiudicato nuovismo coincide con il più arretrato vecchismo:
come, per l’appunto, rischia di essere sempre più naturale in questo nuovo
contesto.
Il
discorso potrebbe, anzi dovrebbe, essere assai lungo. Io invece mi liniterò a
disegnare una traccia del possibile, anzi, ormai facilmente prevedibile
percorso che ci sta davanti. Bisogna infatti, in questo caso più che in altri,
essere pronti a prevenire, piuttosto che aspettare, come sempre più spesso accade,
che i giochi siano fatti. Le mie fonti sono esclusivamente quelle parlamentari
(dibattito, decreti legge e disegni legge, ecc.) e quelle rappresentate dalla
grande stampa d’informazione: le une e le altre, mi pare, attendibili.
Si
leggano, ad esempio, se ancora non lo si è fatto, gli articoli apparsi
recentemente in rapida successione su “la Repubblica”.
Già i
titoli esprimono con sufficiente eloquenza di cosa si tratti: «Entro fine
luglio arriva “SbloccaItalia” » (2 giugno); Renzi: «sbloccheremo 43 miliardi»
(24 luglio); «Arriva lo SbloccaItalia: permessi edilizi più facili e grandi
opere accelerate, fuori le imprese in ritardo» (28 luglio); le anticipazioni non
fanno molta differenza fra le opere in ritardo per motivi burocratici o altro,
e quelle nei confronti delle quali si è manifestata la consapevole opposizione
dei cittadini in nome di una vivibilità che fa tutt’uno con il rispetto del
territorio e dell’ambiente. Anzi: facendo intenzionalmente (ripeto:
intenzionalmente) di ogni erba un fascio, si adotta la parola d’ordine dello
sviluppo a tutti i costi, lanciando anatemi contro tutti i coloro che vi si
oppongono in nome di sacrosante pretese.
In un’intervista
al «Corriere della sera» (13 luglio) il nostro leader tira fuori la parte più
consistente della sua personalità etico-politica: «Nel piano SbloccaItalia c’è
un progetto molto serio sullo sblocco minerario… Io mi vergogno di andare a
parlare delle interconnessioni fra Francia e Spagna, dell’accordo Gazprom o di
South Stream, quando potrei raddoppiare la percentuale del petrolio e del gas
in Italia e dare lavoro a 40 mila persone e non lo si fa per paura delle
reazioni di tre, quattro comitatini.…». È noto che il disprezzo che cala dall’alto
si esprime sempre attraverso un tentativo di ridimensionare la portata degli
eventuali antagonisti: «comitatini», appunto, come Minzolini? ecc. ecc.
Il miracolo della bozza
Ma le
ultime anticipazioni indicano con chiarezza ancora maggiore in quale direzione
si muove questo nuovo-vecchio grande piano di sviluppo. Il giornalista di
Repubblica (in questo caso Roberto Petrini, 28 luglio) spiega infatti che «secondo
una bozza del testo… si andrebbe incontro a una piccola rivoluzione nel
rilascio delle concessioni edilizie…». E cioè: «Con la riforma ci si potrà
rivolgere direttamente allo sportello unico, muniti di autocertificazione con
le caratteristiche essenziali del progetto, realizzata da uno studio
professione, che testimonia il rispetto del piano regolatore e delle altre
norme urbanistiche. A quel punto lo sportello unico avrebbe trenta giorni di
tempo per rispondere, nel caso contrario si potrebbe procedere ai lavori…».
Sembra di avviarci a stare nel paese di Bengodi. Lo sportello unico! Trenta
giorni di tempo per rispondere! Non sarebbe più semplice dire che in Italia si
potrà intraprendere qualsiasi iniziativa edilizia (e consimili, naturalmente),
senza che vi sia più la possibilità di entrare nel merito? L’appello,
contemporaneo e conseguente, che il Premier ha rivolto ai Sindaci affinché
presentino la lista delle loro opere incompiute o non iniziate mira a
costituire una imponente galassia di interventi, mediante la quale premere sull’opinione
pubblica per ottenere il più largo consenso.
Parallelamente
al profilo d’interventismo attivo delineato da progetto di Sbloccaitalia si è
mosso il disegno di legge «per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo
della cultura e il rilancio del turismo» che di fatto è una vera riforma del
Ministero dei Beni culturali ed è stato votato dalla Camera dei Deputati il 9
luglio scorso. Le idee basilari mi sembrano due: (1°. Innanzi tutto l’idea che
il patrimonio culturale e artistico, di cui gode l’Italia, vada considerato nei
suoi aspetti di massa economica potenziale da sfruttare fino in fondo più che
come un bene universale umano, innanzi tutto da tutelare e (2°, conseguente al
primo, il tentativo di sbarazzarsi il più possibile delle competenze e, sì, anche
delle resistenze del personale tradizionalmente investito dallo Stato italiano
del compito, innanzi tutto, di difendere e preservare quel patrimonio da ogni
possibile offesa, comprese quelle che potrebbero provenire da una prevalente
prospettiva di sfruttamento turistico-monetario.
Annientare le resistenze
La
lettura ragionata di questo disegno legge richiederebbe quattro pagine intere
del manifesto (ne ha ragionato a lungo Francesco Erbani sul «manifesto» del 16
luglio).
Scelgo
il punto che, secondo me, per le sue possibilità di generalizzazione, presenta
il valore simbolico più elevato. All’art. 12 della Legge suddetta è stato
inserito in Commissione un emendamento (da chi? Non lo so), che suona in
codesto modo: «Al fine di assicurare l’imparzialità (!) e il buon andamento dei
procedimenti autorizzativi in materia di beni culturali e paesaggistici, i
pareri, i nulla osta o altri atti di assenso comunque denominati, rilasciati
dagli organi periferici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del
turismo, possono essere riesaminati d’ufficio o su segnalazione delle altre
amministrazioni coinvolte nel procedimento, da apposite commissioni di garanzia
per la tutela del patrimonio culturale, costituite esclusivamente da personale
appartenente ai ruoli del medesimo Ministero»…
Trovo
stupefacente questo passaggio. Se lo si dovesse applicare fino in fondo, e a
questo mira il disegno di legge — verrebbe affermato il principio secondo cui
un altro funzionario dello Stato, e tale è il cosiddetto Soprintendente —
potrebbe legittimamente essere sospettato di svolgere la propria funzione non
obiettivamente e in vista d’interessi terzi. In base a tale visione del mondo,
si potrebbero allo stesso modo prevedere commissioni di garanzia destinate a
rivedere ed eventualmente sanzionare i presidi e i professori che portano a
termine uno scrutinio scolastico o un gruppo di medici e di sanitari nell’atto
di pronunciare una diagnosi o di compiere un’operazione.
Allo
stesso atteggiamento (o analogo) va condotto il principio secondo cui i grandi
poli museali del paese non possono essere retti da Soprintendenti collocati
nelle strutture dello Stato, e andrebbero invece demandati a manager non
pubblici, la cui formazione e scelte dipenderebbero unicamente dalla capacità
loro di fare fruttare il patrimonio culturale, che si sono trovati a gestire
(con criteri inevitabilmente politici).
In difesa del Sistema
Ce n’è
abbastanza, insomma, sull’uno come sull’altro versante, per prevedere e
organizzare una vera e propria guerra contro questa spropositata pessima tendenza.
Osservo semplicemente, a questo proposito, che, al di là delle molto spesso
troppo arzigogolate discussioni in merito alle cosiddette riforme istituzionali
(Senato, e tutto il resto), qui, appare con evidenza massima che non c’è
differenza, non c’è davvero nessuna differenza su questo più concreto terreno
fra ideologia e visione del mondo del Ministro Lupi e quella del presidente del
Consiglio Renzi. Ambedue appartengono a pieno diritto al partito unico della
presunta razionalizzazione del sistema, la quale si rivela contraria, anzi antitetica
non solo alle buone idee della sinistra ambientalista e democratica ma persino
alla perpetuazione del vecchio sistema statuale borghese, imperfetto ma in una
certa misura garantista.
Le
associazioni ambientaliste e i Comitati hanno abbastanza voce per farsi
sentire. Perché questo accada, non basta però la buona volontà. Bisogna avere
la consapevolezza che questa è una battaglia decisiva, per organizzare la quale
occorre preliminarmente una concertazione programmatica di grande serietà e
intelligenza. Proviamoci.
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