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domenica 30 agosto 2015

Trivellazioni in mare: Verso il referendum sostenuto dalle regioni

 


Enzo Di Salvatore (*)
Diritto. Servono le delibere di cinque consigli per attivare la procedura. Sperare in un decreto legge a questo punto è solo utopia.

Cin­que anni fa, a seguito del disa­stro petro­li­fero occorso nel Golfo del Mes­sico, il governo Ber­lu­sconi decise di vie­tare la ricerca e l’estrazione di petro­lio nei mari ita­liani entro le cin­que miglia marine. Que­sta pre­vi­sione non era rivolta solo al futuro, ma — per così dire — anche al pas­sato. Nel senso che il divieto avrebbe tro­vato appli­ca­zione anche ai pro­ce­di­menti in corso: a pro­ce­di­menti avviati, ma non ancora con­clusi con il rila­scio di un per­messo di ricerca o di una con­ces­sione per l’estrazione.
Due anni dopo, il governo Monti inter­ve­niva nuo­va­mente in mate­ria con un decreto-legge (il «decreto svi­luppo»), sta­bi­lendo che quel divieto — con­cer­nente ora sia il petro­lio sia il gas — fosse esteso ovun­que alle dodici miglia marine. Con una pre­ci­sa­zione, però. Il nuovo divieto avrebbe riguar­dato solo il futuro e non il pas­sato. Nel senso che non avrebbe tro­vato più appli­ca­zione ai pro­ce­di­menti in corso. L’obiettivo del governo Monti era asso­lu­ta­mente chiaro: occor­reva far ripar­tire i pro­ce­di­menti bloc­cati dal governo Ber­lu­sconi. Ven­ti­cin­que in tutto, tra i quali quello su «Ombrina mare» in Abruzzo e quello su «Vega B» nel Canale di Sici­lia. Ai quali, nel pros­simo futuro, si aggiun­ge­ranno quelli rela­tivi alle atti­vità di ricerca che ha in serbo la società Spec­trum Geo: un pro­getto enorme desti­nato ad esplo­rare i fon­dali del mare Adria­tico per 30 mila chi­lo­me­tri qua­drati e che, ter­mi­nata la fase della ricerca, verrà ulte­rior­mente spac­chet­tato in nume­rosi pro­getti di estra­zione.
Nel 2012, il Coor­di­na­mento nazio­nale No Triv scrisse ai par­la­men­tari della Repub­blica, chie­dendo loro di non con­ver­tire in legge il «decreto svi­luppo». Inu­til­mente. Caduto il governo Monti e aper­tasi la nuova legi­sla­tura, la mag­gior parte delle forze poli­ti­che pre­senti in par­la­mento decise, allora, di pre­sen­tare un pro­getto di legge di modi­fica di quel decreto. Primo fra tutti il Pd. Ma, ancora una volta, inu­til­mente.
Le Com­mis­sioni ambiente di Camera e Senato vol­lero, quindi, impe­gnare poli­ti­ca­mente il governo a rive­dere la posi­zione dello Stato in fatto di estra­zioni petro­li­fere. Per l’ennesima volta, inu­til­mente. In tutta rispo­sta, di lì a poco il governo Renzi avrebbe adot­tato il decreto «Sblocca Ita­lia». Più chiaro di così.
Ora, è pro­prio in virtù dello «Sblocca Ita­lia» che la que­stione si è fatta più spi­nosa, giac­ché con tale decreto il governo ha sta­bi­lito che, su richie­sta delle società petro­li­fere (e lo hanno effet­ti­va­mente richie­sto), il mini­stero possa con­ver­tire i pro­ce­di­menti in corso nei nuovi super rapidi pro­ce­di­menti pre­vi­sti dallo «Sblocca Ita­lia»: pro­ce­di­menti, cioè, desti­nati a chiu­dersi entro 180 giorni con il rila­scio del «titolo con­ces­so­rio unico», che legit­ti­merà i con­ces­sio­nari a cer­care ed estrarre idro­car­buri sulla base di un unico titolo.
Di fronte al per­du­rare di que­sta situa­zione — che negli ultimi mesi ha cono­sciuto una incre­di­bile acce­le­ra­zione dei pro­ce­di­menti in corso e l’adozione di nume­rosi decreti di com­pa­ti­bi­lità ambien­tale fina­liz­zati all’ottenimento dei titoli di ricerca e di estra­zione del petro­lio entro le acque ter­ri­to­riali — l’alternativa è ormai secca.
O si accetta pas­si­va­mente que­sto stato di cose o si decide di rove­sciare rapi­da­mente la situa­zione con gli unici stru­menti che l’ordinamento giu­ri­dico mette a dispo­si­zione: un decreto-legge che vieti la con­clu­sione dei pro­ce­di­menti in corso (ma qui entre­remmo nel campo della fan­ta­scienza) oppure un refe­ren­dum abro­ga­tivo dell’articolo 35 del decreto svi­luppo, la cui richie­sta di indi­zione deve essere depo­si­tata entro il pros­simo 30 set­tem­bre, in tempo utile per­ché si voti prima che i pro­ce­di­menti giun­gano a con­clu­sione. Ter­tium non datur.
È que­sto il motivo per cui il movi­mento «Pos­si­bile» ha deciso di acco­gliere, tra gli otto que­siti refe­ren­dari già depo­si­tati in Cas­sa­zione, anche quello sul decreto svi­luppo. Ed è per que­sta stessa ragione che il 6 luglio scorso il Coor­di­na­mento Nazio­nale No Triv e l’associazione A Sud hanno rite­nuto di dover inviare una for­male let­tera ai Con­si­gli regio­nali, affin­ché prov­ve­dano a deli­be­rare (e suc­ces­si­va­mente a depo­si­tare) una richie­sta refe­ren­da­ria su tale decreto entro il 30 set­tem­bre 2015 (sono suf­fi­cienti cin­que deli­bere regio­nali). Una richie­sta, si badi, che non è rivolta a que­sto o quel par­tito poli­tico, ma che è indi­riz­zata alle isti­tu­zioni ter­ri­to­riali, dove sie­dono pres­so­ché tutte le forze poli­ti­che ita­liane. Certo, si tratta di una strada dif­fi­cile da per­cor­rere, ma dif­fi­cile non vuol dire impos­si­bile. E in fondo sarebbe anche giu­sto così: sarebbe giu­sto che siano i cit­ta­dini a deci­dere se occorra defi­ni­ti­va­mente ras­se­gnarsi o se, al con­tra­rio, sia giunta l’ora di asse­gnare ai nostri mari un destino diverso.

(*) costituzionalista

FONTE ARTICOLO:  http://ilmanifesto.info/verso-il-referendum-sostenuto-dalle-regioni/

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È siciliana la startup che crea la prima bioplastica con la canapa

La prima plastica ecosostenibile è stata sviluppata da una startup catanese, Kanèsis, crasi tra la parola canapa e il termine greco κίνησις (kinesis), ossia "movimento". Un materiale innovativo ideato da un giovane studente di ingegneria, Giovanni Milazzo, e dal suo team.

 
DI Antonio Carnevale 26 agosto 2015

La prima bioplastica a base di canapa viene prodotta in Italia e più precisamente in Sicilia. L'ha sviluppata una startup catanese, la Kanèsis – crasi tra la parola canapa e il termine greco κίνησις (kinesis), ossia "movimento" – fondata da un giovane studente di ingegneria, Giovanni Milazzo.

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«Kanèsis nasce dai principi messi in campo da Henry Ford negli anni Trenta – spiega Giovanni – con il recupero di scarti industriali di origine vegetale per fare nuovi prodotti green ed ecosostenibili». La sua startup ha vinto a maggio il contest "Start Up Academy" dell'Università di Catania ed è composta da un team molto variegato, con chimici, informatici e biotecnologi, ma anche designer, business planner e tecnici alimentari.

L'idea è stata quella di realizzare una plastica ecosostenibile proprio dagli scarti della lavorazione industriale di vegetali, tra cui la canapa. Il risultato è un materiale composito termoplastico, con proprietà riconducibili alle plastiche petrolchimiche convenzionali e doti migliorate di resistenza e leggerezza.

 

 

 

unnamed-4Dalla canapa una plastica stampata in 3D

Il progetto, sviluppato in collaborazione con l'Università di Catania, è in fase sperimentale ed "Hempbioplastic" è il nome provvisorio dato all'innovativo materiale a base di canapa. «Il nostro obiettivo è sviluppare prodotti industriali dalla natura», sottolinea Milazzo. «Abbiamo cominciato dalla canapa perché è una pianta dalle proprietà straordinarie». Unendo la canapa ad altri scarti vegetali i ragazzi di Kanèsis sono riusciti a realizzare il prototipo di un filamento per stampa 3D dalle proprietà migliorate.

Rispetto alla bioplastica tradizionale infatti, è più leggera e presenta una resistenza alla trazione migliorata del 30%. «Inoltre, ha un costo notevolmente inferiore a quello della più economica bioplastica in commercio, che è anche il nostro principale competitor, il PLA».

Il materiale è totalmente made in Italy: è stato infatti ideato, sviluppato e prodotto nel nostro paese. Depositata la domanda di brevetto internazionale, il prossimo passo sarà la produzione di granulo. «Abbiamo stretto collaborazioni con diverse aziende locali e straniere – rivela Milazzo – con le quali ci interfacciamo per le svariate applicazioni che ricopre il granulo termoplastico derivato da canapa».

 

 

 

 

unnamed-1Hempbioplastic è solo il primo passo

Il granulo termoplastico è costituito da scarti vegetali tenuti insieme da una resina vegetale: il risultato è un materiale plastico biodegradabile, a prima vista del tutto simile al legno, ma economico e super resistente.

Gli sviluppi futuri sono molteplici. Non a caso, Kanésis prevede di allargare, a breve, lo spettro di produzione. «Stiamo lavorando su altri sei materiali compositi derivati tutti da scarti vegetali, con proprietà totalmente innovative», annuncia Milazzo. «Ci dedicheremo alla messa a punto di processi produttivi di bio-carburanti come bio-diesel o etanolo di canapa e alla messa a punto di processi di produzione di energia pulita».

Questo materiale infatti, potrebbe essere utilizzato in diversi settori, dal biomedicale all'automotive. Grazie alla fibra di canapa sarebbe possibile, ad esempio, sostituire il polietilene tereftalato, il classico PET, che è un materiale di bassa qualità ed altamente inquinante. La sua leggerezza la rende particolarmente adatta anche per la costruzione di oggetti tecnologici, come ad esempio dei piccoli droni.

 

 

 

unnamed-3Campagna di crowdfunding in partenza

«Il petrolio prima o poi finirà e non potremo cambiare i nostri modelli produttivi tutto d'un tratto: noi ci stiamo organizzando per tempo». Ecco spiegata la decisione di affidarsi alla canapa, una risorsa 100% naturale e rinnovabile.

I ragazzi di Kanèsis sognano un futuro diverso, più sostenibile. Da vivere non all'estero, bensì nella loro terra, la Sicilia. Sviluppare prodotti – come biocarburanti, carta e biomattoni – direttamente dai campi, infatti, potrebbe voler dire migliaia di posti di lavoro in un paese dove il 70% del territorio è attualmente abbandonato.

 

 

 

 

 

 

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Nei giorni scorsi hanno presentato il loro progetto all'Esposizione Universale di Milano. «Abbiamo portato l'innovativa penna 3D che ha permesso alla gente di stamparsi il proprio pezzo in plastica di canapa ed avere un ricordo di futuro sostenibile da Expo». Adesso sono pronti a lanciare una campagna di crowdfunding per finanziare la ricerca e lo sviluppo di altri filamenti. Alla Kanésis prevedono di dare il via alla produzione dei nuovi filamenti speciali a partire dalla primavera 2016.

 

 @antcar83
 FONTE ARTICOLO:  http://thenexttech.startupitalia.eu/2015/08/26/startup-catania-kanesis-canapa-bioplastica/

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Il Ministero dell'Ambiente interviene contro l'inquinamento dei corsi d'acqua delle Apuane.

 

Alpi Apuane, marmettola cementata in un corso d'acqua

Alpi Apuane, marmettola cementata in un corso d’acqua

L’intervento del Ministero dell’Ambiente. Il Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare – Direzione generale per la Protezione della Natura e del Mare ha chiesto (nota prot. n. 16603 del 27 agosto 2015) alla Regione Toscana (D.G. Politiche Ambientali, Energia e Cambiamenti Climatici), alle Province di Lucca e di Massa-Carrara, al Parco naturale regionale delle Alpi Apuane, all’A.R.P.A.T. di intervenire – per gli ambiti di rispettiva competenza – contro “la situazione di inquinamento dei Fiumi Frigido e Carrione, generato dalla presenza di ‘marmettola’, quale prodotto residuo delle attività estrattive delle diverse cave site nelle Alpi Apuane, ricordando che “eventuali interferenze sullo stato di conservazione dei … siti Natura 2000 risulterebbero … consequenziali ai fenomeni di inquinamento … descritti” in quanto “è stato verificato … che i bacini idrografici che convogliano le acque rispettivamente nel Frigido e nel Carrione sono interessati dalla presenza di diversi siti della rete Natura 2000”.
Il Ministero dell’Ambiente chiede anche l’adozione dei necessari provvedimenti di bonifica ambientale, “stante che la questione interessa la verifica degli obiettivi qualitativi previsti dalla Direttiva ‘Acque’ 2000/60/CE.
Il Ministero dell’Ambiente chiarisce alle amministrazioni regionali e locali coinvolte che quanto richiesto risulta “importante anche al fine di evitare un nuovo pre-contenzioso comunitario, ovvero la chiusura negativa del CHAP(2012)2233 – Cave di marmo attive nel Parco regionale delle Alpi Apuane (Toscana), già avviato nell’ambito dell’EU Pilot 6730/14/ENVI.

il Fiume Frigido reso bianco dalla marmettola

il Fiume Frigido reso bianco dalla marmettola

 

Sono, infatti, già aperte procedure di indagine da parte della Commissione europea per la cattiva attuazione della normativa comunitaria sulla salvaguardia degli habitat (direttiva n. 92/43/CEE), anche a causa delle attività estrattive sulle Alpi Apuane.
Il Ministero dell’Ambiente, infine, segnala al “collega” Ministero per i Beni e Attività Culturali l’inquinamento da marmettola per ogni opportuna valutazione in ordine alla pianificazione paesaggistica e le attività estrattive.

stendardo GrIG 
L’azione legale ecologista.
Il Ministero dell’Ambiente ha risposto rapidamente alla richiesta di informazioni ambientali e adozione degli opportuni provvedimenti inoltrata (20 agosto 2015) dall’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus riguardo i continui eventi di inquinamento ambientale altamente pregiudizievoli per la salvaguardia dei Fiumi Carrione e Frigido e gli habitat naturali connessi derivanti dalla marmettola (marmo finemente tritato scaricato negli impluvi e corsi d’acqua) causata dall’attività estrattiva sulle Alpi Apuane.
Interessati il Ministero dell’ambiente, la Regione Toscana, il Parco naturale regionale delle Alpi Apuane, i nuclei investigativi di Massa e di Lucca del Corpo forestale dello Stato, i Carabinieri del N.O.E. di Firenze, nonché le Procure della Repubblica presso i Tribunali di Massa e di Lucca e le Istituzioni comunitarie (Commissione europea e Commissione “petizioni” del Parlamento europeo).
Al centro dell’azione legale ecologista sono i pesanti effetti dell’inquinamento da marmettola sui corsi d’acqua (i Fiumi Frigido e Carrione) interessati dagli scarichi derivanti dall’attività cavatoria.

 

Il report dell’A.R.P.A.T. sull’inquinamento da marmettola.
Ne riferisce ampiamente e approfonditamente la newsletter dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana (A.R.P.A.T.) n. 168 del 13 agosto 2015 con il report sulle “Alpi Apuane e marmettola”.   L’A.R.P.A.T. descrive puntualmente quanto accaduto negli ultimi decenni: nella parte alta dei bacini imbriferi dei Fiumi Carrione e Frigido sussistono perlomeno 178 cave, di cui più di 118 attive.
A partire dagli anni ’70 del secolo scorso i ravaneti, accumulo di sassi sui pendii costituiti dagli scarti derivanti dal taglio del marmo a fini commerciali, adibiti a sede stradale, sono stati irrorati dalla marmettola, marmo finemente tritato scaricato negli impluvi e corsi d’acqua.   La marmettola, secondo quanto asserito dall’A.R.P.A.T., è fortemente inquinante, contaminata “da oli e grassi … e da metalli”.    “La marmettola, per l’ecosistema, è inquinante per l’azione meccanica: riempie gli interstizi, ed impermealizza le superfici perciò elimina gli habitat di molte specie animali e vegetali, modifica i naturali processi di alimentazione della falda, rende più rapido lo scorrimento superficiale delle acque (in pratica è come se il fondo del fiume fosse cementato), infiltrata nel reticolo carsico , modifica i percorsi delle acque sotterranee e può esser causa del disseccamento di alcune sorgenti e/o del loro intorbidamento”.
Non meno gravi le conseguenze sul litorale: se è vero che “il tratto di mare prospiciente la foce del torrente Carrione è da considerarsi non balneabile perché il torrente sfocia in zona portuale”, le Foci del Torrente Frigido e del Fosso Brugiano sono soggette a divieto permanente di balneazione … per motivi igienico-sanitari” perché “l’ambiente risulta ‘molto inquinato o comunque molto alterato’.
Unione Europea, logoLe conseguenze in sede europea.
Nel 2014 la Commissione europea – Direzione generale “Ambiente” ha reso noto di aver aperto la procedura di indagine EU Pilot 6730/14/ENVI “diretta ad accertare se esista in Italia una prassi di sistematica violazione dell’articolo 6 della direttiva Habitat a causa di svariate attività e progetti realizzati in assenza di adeguata procedura di valutazione di incidenza ambientale (V.INC.A.) in aree rientranti in siti di importanza comunitaria (S.I.C.) e zone di protezione speciale (Z.P.S.) componenti la Rete Natura 2000, individuati rispettivamente in base alla direttiva n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli Habitat naturali e semi-naturali, la fauna, la flora e la direttiva n. 09/147/CE sulla tutela dell’avifauna selvatica.
Recentemente la Commissione europea – Direzione generale “Ambiente” ha chiesto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Politiche Europee – Struttura di Missione per le Procedure di Infrazione nuove informazioni complementari, segnalando ulteriori contestazioni e indicazioni di attuazione (nota Pres. Cons. Ministri prot. n. DPE3253 del 27 marzo 2015).

Fiume Frigido (dicembre 2013)

Fiume Frigido (dicembre 2013)

 

Il rischio è sempre più l’apertura di una procedura giudiziaria per violazione della normativa comunitaria sulla salvaguardia degli Habitat naturali e semi-naturali, la fauna, la flora (direttiva n. 92/43/CEE) e, in conseguenza di eventuale sentenza di condanna da parte della Corte di Giustizia europea, di una pesante sanzione pecuniaria a carico dell’Italia (e per essa alle amministrazioni pubbliche che hanno causato le violazioni), grazie soprattutto a omissioni o pressapochismo in materia di tutela ambientale, nonostante le tante istanze ecologiste.
La procedura di infrazione prosegue e si è arricchita di ulteriori violazioni.
Che cosa accade in questi casi?
Se non viene rispettata la normativa comunitaria, la Commissione europea – su ricorso o d’ufficio – avvia una procedura di infrazione (art. 258 Trattato U.E. versione unificata): se lo Stato membro non si adegua ai “pareri motivati” comunitari, la Commissione può inoltrare ricorso alla Corte di Giustizia europea, che, in caso di violazioni del diritto comunitario, dispone sentenza di condanna con una sanzione pecuniaria (oltre alle spese del procedimento) commisurata alla gravità della violazione e al periodo di durata.
Attualmente sono ben 92 le procedure di infrazione aperte contro l’Italia dalla Commissione europea. Di queste addirittura 18 (circa un quinto) riguardano materie ambientali.

Seravezza, la cava delle Cervaiolei da Passo Croce. Il Picco Falcovaia non esiste più

Seravezza, la cava delle Cervaiolei da Passo Croce. Il Picco Falcovaia non esiste più

 

Si ricorda che le sanzioni pecuniarie conseguenti a una condanna al termine di una procedura di infrazione sono state fissate recentemente dalla Commissione europea con la Comunicazione Commissione SEC 2005 (1658): la sanzione minima per l’Italia è stata determinata in 9.920.000 euro, mentre la penalità di mora può oscillare tra 22.000 e 700.000 euro per ogni giorno di ritardo nel pagamento, in base alla gravità dell’infrazione.     Fino a qualche anno fa le sentenze della Corte di Giustizia europea avevano solo valore dichiarativo, cioè contenevano l’affermazione dell’avvenuta violazione della normativa comunitaria da parte dello Stato membro, senza ulteriori conseguenze.   Ora non più.      L’esecuzione delle sentenze della Corte di Giustizia per gli aspetti pecuniari avviene molto rapidamente: la Commissione europea decurta direttamente i trasferimenti finanziari dovuti allo Stato membro condannato: in Italia gli effetti della sanzione pecuniaria vengono scaricati sull’Ente pubblico territoriale o altra amministrazione pubblica responsabile dell’illecito comunitario (art. 16 bis della legge n. 11/2005 e s.m.i.).
Ovviamente gli amministratori e/o funzionari pubblici che hanno compiuto gli atti che hanno sostanziato l’illecito comunitario ne possono rispondere in sede di danno erariale.

Alpi Apuane, marmettola in un corso d'acqua

Alpi Apuane, marmettola in un corso d’acqua

 

I procedimenti penali già aperti.
Nel maggio 2015 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Massa ha aperto un procedimento penale relativo all’inquinamento ambientale determinato proprio dagli scarti delle lavorazioni estrattive. Fra le ipotesi di indagine ci sarebbe anche l’eventuale sussistenza di un nesso di causalità con l’alluvione che ha colpito la zona di Carrara nell’autunno 2014.[1]
L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ritiene che si debba fare la massima chiarezza su tali fenomeni di inquinamento ambientale e si debbano porre in essere politiche più determinate ed efficaci per la salvaguardia dei rilevanti valori ecologici, naturalistici e paesaggistici delle Apuane.
Inoltre, Bruxelles è molto più vicina di quanto possiamo pensare.
Il Governo Renzi, le Giunte regionali, gli Enti locali lo capiranno in tempo?

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus


____________________________________
[1] Nel febbraio 2015 la Direzione distrettuale antimafia di Genova ha chiesto il rinvio a giudizio di numerose persone accusate dello smaltimento illecito di ben 70 mila tonnellate di marmettola nelle province di La Spezia e Pisa.

Carrara, bacino estrattivo Torano

Carrara, bacino estrattivo Torano

 

 

nota Ministero dell'Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare - D.G. Protezione Natura prot. n. 16603 del 27 agosto 2015 (pagina 1)

nota Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare – D.G. Protezione Natura prot. n. 16603 del 27 agosto 2015 (pagina 2)

 

nota Ministero dell'Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare - D.G. Protezione Natura prot. n. 16603 del 27 agosto 2015 (pagina 1)

nota Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare – D.G. Protezione Natura prot. n. 16603 del 27 agosto 2015 (pagina 1)

(foto F.L., S.D., archivio GrIG)

FONTE ARTICOLO:  http://gruppodinterventogiuridicoweb.com/2015/08/30/il-ministero-dellambiente-interviene-contro-linquinamento-dei-corsi-dacqua-delle-apuane/

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Studio dell'ARPA dimostra aumento patologie per emissioni inceneritore Vercelli, silurato il direttore

 

StudioIncVCCicloIncenerimento

Uno studio dell’ARPA di VERCELLI con dati choc (+400% tumori al fegato) sugli effetti dell’inceneritore sulla salute degli abitanti, Saitta nel panico per possibili richieste risarcitorie e l’ARPA “riorganizza” i dipartimenti rimuovendo l’autore dello Studio, nonché direttore dell’ARPA di Vercelli.

Il 30 giugno sul sito dell’ARPA un comunicato segue la presentazione, al Comune di Vercelli, dei risultati di un importante (e allarmante) studio epidemiologico sugli effetti dell’inceneritore  sulla salute dei cittadini residenti in prossimità dell’impianto. Dal comunicato una presentazione dell’analisi:

Lo studio epidemiologico aveva l’obiettivo di studiare i possibili effetti sulla salute, con particolare riferimento ai dati di mortalità e morbilità (ricoveri ospedalieri) per alcune cause correlabili alla residenza in prossimità dell’impianto di incenerimento dei rifiuti, basato sulla storia residenziale della popolazione nei comuni di Vercelli e Asigliano con un follow-up di mortalità e morbilità dal 1.1.1997 fino al 31.12.2012 (15 anni). L’esposizione dei residenti nell’area interessata dalle emissioni dell’impianto è stata stimata attraverso modelli di dispersione, rafforzati da dati provenienti da campagne di campionamenti ad hoc.

La popolazione residente è stata divisa tra esposti (residenti nell’area di ricaduta delle emissioni dell’inceneritore) e non esposti (residenti nei due comuni fuori dall’area di ricaduta).


È stato misurato il rischio di contrarre una patologia dei residenti nell’area di ricaduta verso l’area di non esposizione.


I risultati della mortalità mostrano rischi significativamente più elevati nella popolazione esposta per la mortalità totale, escluse le cause accidentali (+20%). Anche per tutti i tumori maligni si evidenziano rischi più alti tra gli esposti rispetto ai non esposti (+60%), in particolare per il tumore del colon-retto (+400%) e del polmone (+180%). Altre cause di mortalità in eccesso riscontrate riguardano la depressione (rischio aumentato dell’80% e più), l’ipertensione (+190%), le malattie ischemiche del cuore (+90%) e le bronco pneumopatie cronico- ostruttive negli uomini (+ 50%)

 

CutticaExDirArpaOUTArpaVCStudioRisultati certamente allarmanti, il documento è disponibile per il download a questo link, dal sito dell’ARPA rimbalza attraverso i social network ed in pochi giorni la notizia arriva alla cittadinanza da tempo attenta e preoccupata alle problematiche dell’ambiente e della salute (in tutta Italia, qui il sito del Comitato Rubbiano per la Vita), e aumentano le preoccupazioni in una zona messa certamente a dura prova, nonostante la chiusura nel 2014 dell’impianto di incenerimento oggetto dello studio.
Lo studio era iniziato nel 2014 con un progetto del Ministero della salute, coordinato da ARPA PIEMONTE, ARPA VERCELLI (direttore Giancarlo Cuttica, con Ennio Cadum del dipartimento di Epidemiologia e salute ambientale), i Comuni di Vercelli ed Asigliano e l’ASL di Vercelli e, alla sua presentazione, il sindaco di Vercelli, Maura Forte, aveva annunciato la ferma opposizione per il futuro con un lapidario “a Vercelli mai più un inceneritore”. Tuttavia lo studio sembra essere allarmante anche per l’effetto dei pesticidi, ma ad una specifica domanda sul tema il sindaco Bongiovanni risponde: «I pesticidi? Per ora  preferiamo concentrarci sull’inceneritore».
Il 2 luglio i primi contraccolpi dopo la diffusione dei dati-choc di Arp: il comune di Asigliano annuncia una richiesta danni tramite una “class action”. “E nell’attesa di verificare se esistono gli estremi per una «class action», l’amministrazione di Asigliano ha chiesto al direttore Giancarlo Cuttica e a Franco Pistono di Arpa un incontro pubblico con la popolazione per illustrare i dati dello studio.” Pochi giorni dopo però l’amministrazione comunale rinvia l’incontro con i cittadini, previsto per il 9 luglio, anche a seguito del dibattito in Regione con l’assessore alla Sanità Saitta, l’8 luglio.
E’ proprio l’8 luglio che l’argomento arriva in Regione, con un Question time presentato dal consigliere regionale Gabriele Molinari (PD) proprio sui risultati dello studio. L’Assessore Regionale alla Sanità, Antonio Saitta, ex presidente della Provincia di Torino, uno degli sponsor politici (insieme all’ormai senatore Stefano Esposito) dell’inceneritore di Torino, forse restando ancora nel vecchio ruolo più attento agli interessi economici (si fa per dire) che alla tutela della salute dei cittadini, esordisce con una evidente critica alla metodologia, dichiarando di ritenere «poco corretto da parte dell’Arpa non aver informato né coinvolto l’Asl di Vercelli nella presentazione pubblica dei risultati dell’analisi epidemiologica e neppure l’assessorato regionale, che ha appreso i risultati solo dalla stampa locale. Ricordo che la stessa Asl di Vercelli, a suo tempo, aveva messo a disposizione i dati richiesti dal responsabile scientifico dell’Arpa per l’analisi epidemiologica»”
Eppure da una delle prime pagine dello studio salta all’occhio che l’ASL di Vercelli è coinvolta, con il Servizio di Igiene e Sanità Pubblica:

Fatta questa premessa, Saitta ha dichiarato di “condividere la decisione della direzione dell’Asl svolgere un prudente approfondimento dell’indagine”, per accertarsi che non vi siano realmente gravi rischi per la salute o che in passato non si siano causate patologie anche gravi e magari morti? Non proprio, almeno dalle parole usate da Saitta per motivare l’ulteriore approfondimento: “Sarà un confronto utile anche per individuare «le appropriate modalità di COMUNICAZIONE alla cittadinanza degli EVENTUALI RISCHI rilevati – conclude Antonio Saitta –. Ciò per evitare il rischio di un erroneo utilizzo mediatico o a FINI RISARCITORI di dati che invece hanno in primis una valenza scientifica di studio con potenzialità in ambito tecnico-programmatorio. ” ( Fonte qui)
Sembra che non preoccupino troppo i rischi per la salute quanto i rischi di utilizzo a fini risarcitori di dati decisamente allarmanti, tanto più se arrivano da fonti ufficiali e accreditate.
O quasi.
Già, perché la vicenda si complica e approfittando della calura estiva e della disattenzione generale di chi si gode le tanto attese vacanze, l’ARPA annuncia il 6 agosto un’improvvisa riorganizzazione dei vertici della sezione di VERCELLI, definendola una nomina dei responsabili delle nuove “Strutture Complesse” e scompare il nome di Gian Carlo Cuttica, nominato nel 2010 direttore del dipartimento ARPA di Vercelli e co-autore dello studio. 

L’11 agosto la notizia viene pubblicata su “Notizie Oggi Vercelli” con un titolo che non lascia dubbi: “L’Arpa silura il direttore dello studio sull’inceneritore”. “Difficile pensare che la pubblicazione dello studio epidemiologico per le zone esposte negli anni alle emissioni dell’inceneritore non abbia avuto un ruolo nell’allontanamento del dirigente, viste le tante prese di distanza riguardo ai dati emersi dallo studio che comunque confermano l’esistenza di una pesante criticità”.
Sempre nell’articolo viene riportata l’opinione di Legambiente che, in una nota del presidente provinciale Gian Piero Godio, esprime “apprezzamento per il lavoro dell’ex direttore”, dispiacere per “non poter più contare sulla sua competenza e obiettività” e si augurano “che le sue capacità siano impiegate in mansioni altrettanto importanti per la tutela dell’ambiente”.
Bisognerà attendere il 26 agosto perché la notizia della rimozione di Cuttica venga ripresa, con tinte sfumate, sull’edizione vercellese del quotidiano La Stampa che segnala l’anomalia di questa ristrutturazione nella quale solo Giancarlo Cuttica sembra essere  coinvolto dal processo di “adeguamento della struttura organizzativa dell’agenzia” voluto dal direttore generale Angelo Robotto.

A Vercelli nasce un Comitato No Inceneritore , “Vercelli ha già dato, mai più inceneritori”. Agitare nuovi spettri per difendere il futuro e archiviare il passato?

RubbianoSpettroIncVCE’ datata 27 agosto la notizia della nascita di un locale “Comitato No Inceneritore”: “L’iniziativa è della stessa amministrazione capeggiata da Maura Forte, che ieri ne ha annunciato la nascita affiancata dagli assessori Cressano, Raineri e Coppo, dai consiglieri di maggioranza Bassini, Caradonna e Zappino, dal presidente del Covevar e sindaco di Trino Alessandro Portinaro e dai rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil”. Stando a quanto riportato sul sito La Stampa il concetto alla base dell’iniziativa è «Vercelli ha già dato», dunque torna il mai più inceneritori. Sembra una pietra tombale sul passato, un Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato, ha dato, scurdàmmoce ‘o ppassato” …solo che qua non simmo ‘e Napule, paisà… ,

11 settembre 2015 – al Foro Boario di Fornovo – Incontro Informativo con presentazione della relazione ARPA di Vercelli

Lo studio si è diffuso rapidamente tra ambientalisti e comitati attenti al tema dell’ambiente e della salute e ci è stato segnalato un primo incontro informativo pubblico l’11 settembre al Foro Boario di Fornovo con la partecipazione della Dott.ssa Patrizia Gentilini (ISDE) ed un dibattito con l’epidemiologo prof. Valerio Gennaro, per illustrare la “scottante” relazione dell’ARPA di Vercelli sul legame (giuridicamente noto come nesso causale) tra le emissioni dell’inceneritore e la salute, anzi, le malattie, e forse la morte, degli abitanti della zona.

Simonetta Zandiri  – TGMaddalena.it


FONTE ARTICOLO:  http://www.tgmaddalena.it/studio-dellarpa-dimostra-aumento-patologie-per-emissioni-inceneritore-vercelli-silurato-il-direttore/

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venerdì 28 agosto 2015

LA7 - Publiacqua verso la privatizzazione: Rossi non parla con i comitati


Il presidente della regione sul più bello abbandona la diretta televisiva su La7

Ieri mattina (ndr. 24 Agosto 2015) su LA7 trasmissione in diretta, per parlare di Acqua pubblica. In collegamento dagli Studi di Firenze il Presidente di Publiacqua Filippo Vannoni e la Prof. Ginevra Lombardi dei Movimenti Acqua Pubblica. In studio a Roma Enrico Rossi che durante l'ultimo brek pubblicitario, annunciato il servizio sull'Acqua a Firenze, abbandona lo studio e il servizio non viene mandato in onda. Il Presidente Rossi, per un paio d'ore, aveva commentato di tutto: migrazione, funerali di Roma, sfruttamento clandestini nella raccolta pomodori.

La grande contesa con comitati e sindacati verte sulla realizzazione di un Gestore del Servizio Idrico del Centro Italia ipotizzato in partecipazione con Acea SpA e scenari che potrebbero vedere economie di scala con le partecipate e società di servizi.

L'Unione Sindacale di Base di Publiacqua ricorda però il contenzioso Il Tar della Toscana, tra Autorità Idrica e Publiacqua SpA (Coazionista di Ingegneniere Toscane insieme ad Acque SpA), per costi superiori del 40% ai valori di mercato che Ingegnerie Toscane imputa per i propri servizi e che ricadano in tariffa ai Cittadini: "Non vorremmo eccedere in malizia, ma il proliferare di Aziende di scopo nate da esternalizzioni ulteriori, di Gestori quali Acque SpA,Publiacqua SpA e altri, siano forse più funzionali per affollare Consigli d'Amministrazione con addirittura due Vicepresidenti, che più che imprese sembrano cimiteri per elefanti della Casta e chissà per qualche gioco utile in termini di cosmetica di bilancio e una centrale fidata per la super visione di lavori a terzi".

Redazione Nove da Firenze

FONTE ARTICOLO:  http://www.nove.firenze.it/publiacqua-verso-la-privatizzazione-rossi-non-parla-con-i-sindacati.htm 

qui la puntata di "L'Ariad'estate" su La7 del 24 Agosto 2015

Postato da Associazione "Vivere in Valdisieve" su Associazione "Vivere in Valdisieve" il 8/25/2015 02:59:00 PM




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venerdì 14 agosto 2015

Pinocchio e l'inceneritore di Case Passerini, una novella dello stento che dura da più di dieci anni

Gli abitanti della Piana,saranno valorizzati in vari modi con la costruzione dell'inceneritore di Case Passerini: le diossine potranno essere incastonate in anelli, gemelli, collane. Con la montagna di ceneri prodotte dall'inceneritore si faranno spiagge lungo l'Arno,dove far giocare i bambini, prendere il sole, così non ci sarà più bisogno di andare al mare e così risparmieremo in emissioni da traffico! Tutto sarà rigorosamente a km zero ed ecologico! Coi  fanghi di depurazione si potrà aprire uno stabilimento termale per la fangoterapia, dando così nuova occupazione e le acque reflue serviranno per irrigare i campi del Parco della Piana,in cui cresceranno verdure dalle forme bizzarre. Il rospo smeraldino sparirà definitivamente dalle zone umide, al posto del suo sgraziato ed inutile gracidare sentiremo solo il via vai degli aeroplani del nuovo aeroporto.Un gemello con lo smog incastonato

Nella foto un gemello in cui sono incastonate delle diossine emesse dall'inceneritore.

 

L'inceneritore funzionerà come un grande depuratore d'aria all'aperto, in grado di catturare l'inquinamento circostante e restituire all'ambiente aria più sana.Questa struttura in grado di purificare l'aria,sarà come un enorme ionizzatore d'aria,un benefico aerosol che curerà i polmoni, specie ai bambini più piccoli ed alle donne in gravidanza. Le diossine, il cadmio e gli altri metalli pesanti, persino il particolato ultrasottile, verranno valorizzati e trasformati in milioni e milioni di gioielli: le particelle emesse dall'inceneritore verranno infatti compresse in minuscoli cubi da incastonare su anelli o gemelli,gratuitamente.Ogni cubo conterrà gli inquinanti trovati in un metro cubo di aria emessa.Così ognuno potrà godersi ed esibire il suo cancerogeno personalizzato.Il camino dell'inceneritore che sarà alto circa 70 metri, non è stato progettato per disperdere i fumi (tanto sono innocui) ma per 'offrire una 'esperienza sensoriale' di leggiadria a chi arriverà a Firenze, dall'autostrada. 

 

Gian Luca Garetti, Medicina Democratica sez. fiorentina Pietro Mirabelli



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Incenerire e trivellare: la "green economy" del governo Renzi

 

Stefano Ciafani

Vicepresidente Legambiente

Dopo il via libera alle nuove trivellazioni di petrolio, arriva anche la bozza di Decreto del presidente del consiglio dei Ministri (Dpcm) sulla realizzazione di nuovi impianti di incenerimento.

Chi pensava che con lo Sblocca Italia, l’estrazione degli idrocarburi, le nuove grandi e inutili opere, il governo avesse toccato il fondo delle politiche ambientali, sbagliava di grosso. L’ultima conferma arriva con lo schema di Dpcm sull’incenerimento dei rifiuti in attuazione dell’articolo 35 del decreto Sblocca Italia che prevede 12 nuovi inceneritori in Italia (3 nel nord Italia, 4 nel centro, 3 nel Sud e 2 in Sicilia) che si aggiungerebbero a quelli già attivi, di cui non si prevede lontanamente lo spegnimento, neanche di quelli evidentemente “cotti” e quindi da dismettere (e ce ne sono diversi). 
Si tratta di una proposta da respingere al mittente per tanti  motivi evidenti.
 

Il primo motivo è che Palazzo Chigi fa finta di non vedere che ancora una volta manca l’oggetto del contendere, e cioè i quantitativi di rifiuti. Sfidiamo chiunque a garantirsi quelle quantità di rifiuti da bruciare previste nella bozza di Dpcm ed è impossibile non tener conto dell’aumento inesorabile delle quantità avviate a riciclo, oltre che di quelle oggetto delle inevitabili politiche di prevenzione. I quantitativi da bruciare in nuovi impianti sono sovrastimati dal governo perché sono calcolati su un obiettivo del 65% di raccolta differenziata già ampiamente superato in diverse regioni (a partire da Veneto, da Friuli Venezia Giulia, Marche). Non si considerano né il programma nazionale di prevenzione (ma il ministro Galletti si ricorda che il suo predecessore ha approvato quel piano nel 2013 e che lui stesso ha messo in piedi un Comitato scientifico presieduto dal professor Andrea Segrè per la sua attuazione?) né il fatto che l’altra lobby concorrente, quella del cemento, sta cercando di bruciare nuovi quantitativi di combustibili da rifiuti (Css) nei loro impianti. Tra l’altro già oggi gli impianti da poco costruiti, come ad esempio quello di Parma, sono in grande difficoltà perché grazie alle raccolte differenziate domiciliari e la tariffazione puntuale non hanno più i rifiuti dal territorio che li ospita e sono costretti a cercarli da altre regioni. Lo stanno facendo utilizzando proprio l’articolo 35 dello Sblocca Italia che smonta il condivisibile principio di prossimità, moltiplicando i viaggi dei rifiuti urbani da una parte all’altra del paese (opzione che andrebbe invece minimizzata), e permette anche di ri-autorizzare gli impianti sul carico termico massimo, aumentando i quantitativi di rifiuti da bruciare (a proposito, le capacità di trattamento descritte nella bozza di Dpcm non tengono conto di queste nuove autorizzazioni).  Insomma sull’incenerimento il governo dà veramente i numeri.
Il secondo motivo è che ancora una volta si guarda agli interessi di poche società e non a quelli del paese. Si tratta infatti di una bozza di decreto che è a nostro avviso il frutto della sommatoria delle richieste singole delle aziende di gestione dei rifiuti, soprattutto delle multiutilities del nord, che ancora non hanno capito che in questo paese il vento è cambiato e che non c’è più spazio per nuovi inceneritori. Opzione che va invece ridotta inesorabilmente nel prossimo futuro a vantaggio della economia circolare di cui si è tornato a parlare finalmente in Europa (è curioso notare come la responsabile del dossier su questo tema sia la parlamentare europea PD Simona Bonafè, molto vicina al premier Renzi). Ancora una volta il governo scrive un decreto sotto dettatura di una lobby: del resto, vedendo la distribuzione territoriale dei 12 impianti, è abbastanza semplice capire chi sono i promotori dei singoli progetti che il governo ha prontamente fatto propri. Il Paese invece avrebbe bisogno di tanti impianti che non ci sono e che servirebbero molto ai cittadini e alle loro tasche. Serve realizzare, soprattutto nel centro sud, gli impianti per trattare l’organico differenziato (recuperando energia con il biogas), raccolto dai sempre più numerosi Comuni ricicloni, che purtroppo continua a viaggiare quotidianamente su gomma per diverse centinaia di chilometri, spendendo inutilmente soldi in inquinanti trasporti e consumando gasolio. Serve costruire la rete capillare degli impianti per la massimizzazione del riciclaggio (ecodistretti, fabbriche dei materiali, etc) e per la preparazione per il riutilizzo dei rifiuti. Tutti quegli impianti che alla base della legge di iniziativa popolare “Rifiuti zero”, curiosamente in discussione in Commissione Ambiente della Camera dei deputati, mentre il Governo spinge sull’incenerimento.
Insomma gli impianti servono, e ce ne vogliono davvero tanti nuovi sul territorio nazionale, ma non quelli che hanno in testa le società di igiene urbana quotate in Borsa, a partire da A2A, Hera e Iren, tutte aziende che guidano la “nuova confidustria dei rifiuti, dell’acqua e del gas” da poco costituita, che si chiama Utilitalia.
Il terzo motivo è che questo schema di dpcm non fa altro che spostare l’attenzione su un piano che non si concretizzerà mai per questioni politiche (tutte le Regioni hanno già detto “no grazie”), sociali (quali sono i territori disponibili ad ospitare impianti di questo tipo?), ma soprattutto economiche. I potenziali prezzi di conferimento dei nuovi impianti non sarebbero infatti competitivi con gli inceneritori esistenti, a partire da quelli del nord Europa, che continuerebbero inevitabilmente a bruciare anche i rifiuti italiani con buona pace di chi ha scritto lo Sblocca Italia (non è un decreto che definisce le rotte dei rifiuti ma è il costo di conferimento all’impianto: gli impianti nord europei sovradimensionati e costruiti negli anni ’90 garantiscono prezzi bassissimi che nessun inceneritore italiano, vecchio o nuovo, è in grado di assicurare). Tutto questo ci farà purtroppo perdere altro tempo che soprattutto in alcune regioni critiche (come ad esempio Sicilia, Puglia o Lazio) non abbiamo.
Insomma non scherziamo: se il governo vuole lavorare sul serio sulla gestione dei rifiuti cancelli questa bozza di Dpcm e scriva un nuovo testo che punta davvero all’economia circolare. Basterebbe rivedere completamente il principio di penalità e premialità economica nel ciclo dei rifiuti e il cambio di passo sarebbe garantito. Serve tartassare le discariche utilizzando al meglio l’ecotassa (perché non cambiare quello strumento ormai datato, approvato nel lontano 1995, trasformando il tetto massimo di 25 euro/t della tassa in un tetto minimo di 50 euro/t come da nostra proposta?): in questo modo il costo della discarica schizzerebbe in alto e si ridurrebbe in pochi mesi il flusso di rifiuti smaltiti sotto terra. Gli incentivi alla produzione di elettricità da incenerimento vanno cancellati e questo è il momento giusto: in questi mesi infatti sono in discussione nella bozza di decreto sulle rinnovabili non fotovoltaiche, dove nella prima bozza del decreto erano ancora previsti mentre nella seconda sono fortunatamente spariti (la loro ricomparsa sarebbe uno schiaffo al mondo delle vere rinnovabili).
Se invece l’esecutivo continuerà sulla strada del Dpcm in discussione, ci sarà un solo risultato: lo stallo totale che farà felici ancora una volta i tanti signori delle discariche che continuano a fare soldi e governare il ciclo dei rifiuti grazie alle inesistenti politiche di settore. In barba alle tante esperienze virtuose messe in campo dai comuni ricicloni e dalle aziende serie che hanno sottoscritto con entusiasmo il nostro manifesto per un’Italia rifiuti free.

 

Pubblicato il12 agosto 2015  FONTE  http://www.legambiente.it/blog/incenerire-e-trivellare-la-green-economy-del-governo-renzi

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Rifiuti - Il Decreto "Sblocca Italia" è una vera porcata! - Di: Enzo Favoino/Zero Waste Italia

” Con questa iniziativa Galletti si candida a diventare il peggiore Ministro dell’Ambiente della storia repubblicana”

Rifiuti, il grande business degli AMICI DEGLI AMICI

Rifiuti, il grande business degli AMICI DEGLI AMICI

Pubblichiamo di seguito il commento di Enzo Favoino (ricercatore della Scuola Agraria del Parco di Monza e coordinatore del comitato scientifico di Zero Waste Europe e Zero Waste Italy) sullo schema di decreto applicativo dell’art.35 dello “Sblocca Italia”. Buona Lettura.

FONTE - Prato nel Mondo

 

“Vorrei usare altri linguaggi, ma questa è Ri, non ci sono altre parole, anche per chi come me è solito usare termini più “scientifici”.
Lo schema di decreto è costruito in modo da valutare le “necessità di ulteriore capacità di incenerimento” nelle diverse aree.
Un documento irricevibile, e sotto diversi profili:
A) sul piano generale, perché presuppone che il rifiuto urbano residuo (RUR) debba comunque passare attraverso sistemi di trattamento termico (incenerimento ed affini). E’ non c’è niente, niente, NIENTE che attesti un tale obbligo nelle Direttive UE, citate a sproposito e capziosamente in diverse parti del Documento, quasi a giustificare che una tale strategia scellerata sia imposta dalle strategie comunitarie. Non è così, e sfido Ministro e tecnici a confrontarsi su questo assunto scellerato.
B) nel merito tecnico, perché tanti passaggi di calcolo sono assolutamente errati, artificiosamente errati, ed al solo scopo strumentale di massimizzare le necessità di ulteriore incenerimento. Come quando ad esempio:
– si assume il conseguimento del 65% di RD (e non un decimo di percentuale di più, come se tale livello fosse l’orlo del burrone e non la porta per ulteriori scenari virtuosi, scenari che noi sappiamo si aprono sempre, quando si consolidano schemi basati su RD porta a porta e tariffazione puntuale!)
– non si tiene conto di quei Piani Regionali che già da tempo prevedono comunque obiettivi di RD superiori, ed in certi casi (es. Veneto) marcatamente superiori: le Regioni verranno costrette a rivederli al ribasso?
– si assume una produzione del 65% di CSS dagli impianti di pretrattamento (dato artificiosamente al rialzo, rispetto alla realtà degli stessi impianti di preparazione CDR/CSS che noi combattiamo)
– non si prevedono assolutamente scenari operativi alternativi, come gli impianti a freddo con recupero di materia (cosiddette “Fabbriche dei Materiali”) che non solo sono praticabili e praticati, ma si stanno diffondendo nelle programmazioni locali in molte parti d’Italia
Ma soprattutto, non si prendono neanche in minima considerazione gli scenari incrementali di recupero materia attualmente in discussione a livello UE, nel corso del dibattito sulla “Economia Circolare”, e che con ogni probabilità porteranno ad un aumento degli obiettivi di recupero materia (70% rispetto all’attuale 50%, assunto dallo Schema di Decreto). Orbene, qualcuno ci dovrà spiegare come la cosa potrà coesistere con una situazione ad infrastrutturazione “pesante” mediante impianti che richiedono alimentazione con flussi di RUR garantiti per 20-30 anni. Lo stesso errore fatto negli anni ’90 dai Danesi, che tuttavia se ne sono accorti e non a caso hanno adottato una strategia nazionale di gestione delle risorse che prevede ora una “exit strategy” dall’incenerimento al grido di “ricicliamo di più, inceneriamo di meno”.
Qualcuno lo dica al Ministro. Glie lo dica, per favore.
Con questa iniziativa Galletti si candida a diventare il peggiore Ministro dell’Ambiente della storia repubblicana. Nessuno Ministro, ed in nessun Paese UE, era mai arrivato ad individuare un obbligo fattuale di incenerimento del RUR. Galletti, evidentemente mal consigliato, si è spinto a tanto.
Mi riservo di tornare sul tema con commenti più dettagliati, intanto chi intende scambiarsi informazioni ed argomenti per opporsi al questo tentativo scellerato, od ai suoi fastidiosi effetti a livello locale (già mi immagino quanti inceneritoristi useranno strumentalmente questa bozza per attestare la necessità di non chiudere il proprio impianto, o di realizzarne nuovi come nel caso della Liguria), mi contatti, enzofavoino@alice.it, vedremo di strutturare dei momenti di confronto e scambio informazioni'”.

 

Enzo Favoino

 


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Postato da Associazione "Vivere in Valdisieve" su Associazione "Vivere in Valdisieve" il 8/14/2015 04:58:00 PM




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