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mercoledì 30 luglio 2014

Il governo Renzi va all’assalto dei beni Comuni


di Alberto Asor Rosa da Il Manifesto del 30 Luglio 2014

Quando si scrive di politica… quando io scrivo di politica, mantengo sempre, per quanto mi riesce,un atteggiamento di dubbio formale e sostanziale. Sì, è così, mi sembra che sia così, però… Delle affermazioni e conclusioni contenute in questo articolo sono invece assolutamente certo. Verrebbe voglia di dire: allarme, cittadini, sono in pericolo la vostra esistenza e il vostro futuro, e quelli dei vostri figli. Levate la testa prima che sia troppo tardi.

Mi riferisco agli atteggiamenti e alle promesse che il governo Renzi dispensa a piene mani in materia di ripresa economica e, contestualmente, di ambiente, territorio, beni culturali, paesaggi italiani.

Non c’è in giro il minimo straccio di piano industriale. Ma in compenso c’è, a quanto sembra, un piano ormai pensato ed elaborato, anche nei suoi particolari dispositivi di attuazione, per quanto riguarda il già troppo martoriato volto del nostro paese, cui si continua a ricorrere, in mancanza di altro, tutte le volte in cui si deve dare l’impressione di rimettere in movimento la macchina. Qui il più spregiudicato nuovismo coincide con il più arretrato vecchismo: come, per l’appunto, rischia di essere sempre più naturale in questo nuovo contesto.

Il discorso potrebbe, anzi dovrebbe, essere assai lungo. Io invece mi liniterò a disegnare una traccia del possibile, anzi, ormai facilmente prevedibile percorso che ci sta davanti. Bisogna infatti, in questo caso più che in altri, essere pronti a prevenire, piuttosto che aspettare, come sempre più spesso accade, che i giochi siano fatti. Le mie fonti sono esclusivamente quelle parlamentari (dibattito, decreti legge e disegni legge, ecc.) e quelle rappresentate dalla grande stampa d’informazione: le une e le altre, mi pare, attendibili.

Si leggano, ad esempio, se ancora non lo si è fatto, gli articoli apparsi recentemente in rapida successione su “la Repubblica”.

Già i titoli esprimono con sufficiente eloquenza di cosa si tratti: «Entro fine luglio arriva “SbloccaItalia” » (2 giugno); Renzi: «sbloccheremo 43 miliardi» (24 luglio); «Arriva lo SbloccaItalia: permessi edilizi più facili e grandi opere accelerate, fuori le imprese in ritardo» (28 luglio); le anticipazioni non fanno molta differenza fra le opere in ritardo per motivi burocratici o altro, e quelle nei confronti delle quali si è manifestata la consapevole opposizione dei cittadini in nome di una vivibilità che fa tutt’uno con il rispetto del territorio e dell’ambiente. Anzi: facendo intenzionalmente (ripeto: intenzionalmente) di ogni erba un fascio, si adotta la parola d’ordine dello sviluppo a tutti i costi, lanciando anatemi contro tutti i coloro che vi si oppongono in nome di sacrosante pretese.

In un’intervista al «Corriere della sera» (13 luglio) il nostro leader tira fuori la parte più consistente della sua personalità etico-politica: «Nel piano SbloccaItalia c’è un progetto molto serio sullo sblocco minerario… Io mi vergogno di andare a parlare delle interconnessioni fra Francia e Spagna, dell’accordo Gazprom o di South Stream, quando potrei raddoppiare la percentuale del petrolio e del gas in Italia e dare lavoro a 40 mila persone e non lo si fa per paura delle reazioni di tre, quattro comitatini.…». È noto che il disprezzo che cala dall’alto si esprime sempre attraverso un tentativo di ridimensionare la portata degli eventuali antagonisti: «comitatini», appunto, come Minzolini? ecc. ecc.

Il miracolo della bozza

Ma le ultime anticipazioni indicano con chiarezza ancora maggiore in quale direzione si muove questo nuovo-vecchio grande piano di sviluppo. Il giornalista di Repubblica (in questo caso Roberto Petrini, 28 luglio) spiega infatti che «secondo una bozza del testo… si andrebbe incontro a una piccola rivoluzione nel rilascio delle concessioni edilizie…». E cioè: «Con la riforma ci si potrà rivolgere direttamente allo sportello unico, muniti di autocertificazione con le caratteristiche essenziali del progetto, realizzata da uno studio professione, che testimonia il rispetto del piano regolatore e delle altre norme urbanistiche. A quel punto lo sportello unico avrebbe trenta giorni di tempo per rispondere, nel caso contrario si potrebbe procedere ai lavori…». Sembra di avviarci a stare nel paese di Bengodi. Lo sportello unico! Trenta giorni di tempo per rispondere! Non sarebbe più semplice dire che in Italia si potrà intraprendere qualsiasi iniziativa edilizia (e consimili, naturalmente), senza che vi sia più la possibilità di entrare nel merito? L’appello, contemporaneo e conseguente, che il Premier ha rivolto ai Sindaci affinché presentino la lista delle loro opere incompiute o non iniziate mira a costituire una imponente galassia di interventi, mediante la quale premere sull’opinione pubblica per ottenere il più largo consenso.

Parallelamente al profilo d’interventismo attivo delineato da progetto di Sbloccaitalia si è mosso il disegno di legge «per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo» che di fatto è una vera riforma del Ministero dei Beni culturali ed è stato votato dalla Camera dei Deputati il 9 luglio scorso. Le idee basilari mi sembrano due: (1°. Innanzi tutto l’idea che il patrimonio culturale e artistico, di cui gode l’Italia, vada considerato nei suoi aspetti di massa economica potenziale da sfruttare fino in fondo più che come un bene universale umano, innanzi tutto da tutelare e (2°, conseguente al primo, il tentativo di sbarazzarsi il più possibile delle competenze e, sì, anche delle resistenze del personale tradizionalmente investito dallo Stato italiano del compito, innanzi tutto, di difendere e preservare quel patrimonio da ogni possibile offesa, comprese quelle che potrebbero provenire da una prevalente prospettiva di sfruttamento turistico-monetario.

Annientare le resistenze

La lettura ragionata di questo disegno legge richiederebbe quattro pagine intere del manifesto (ne ha ragionato a lungo Francesco Erbani sul «manifesto» del 16 luglio).

Scelgo il punto che, secondo me, per le sue possibilità di generalizzazione, presenta il valore simbolico più elevato. All’art. 12 della Legge suddetta è stato inserito in Commissione un emendamento (da chi? Non lo so), che suona in codesto modo: «Al fine di assicurare l’imparzialità (!) e il buon andamento dei procedimenti autorizzativi in materia di beni culturali e paesaggistici, i pareri, i nulla osta o altri atti di assenso comunque denominati, rilasciati dagli organi periferici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, possono essere riesaminati d’ufficio o su segnalazione delle altre amministrazioni coinvolte nel procedimento, da apposite commissioni di garanzia per la tutela del patrimonio culturale, costituite esclusivamente da personale appartenente ai ruoli del medesimo Ministero»…

Trovo stupefacente questo passaggio. Se lo si dovesse applicare fino in fondo, e a questo mira il disegno di legge — verrebbe affermato il principio secondo cui un altro funzionario dello Stato, e tale è il cosiddetto Soprintendente — potrebbe legittimamente essere sospettato di svolgere la propria funzione non obiettivamente e in vista d’interessi terzi. In base a tale visione del mondo, si potrebbero allo stesso modo prevedere commissioni di garanzia destinate a rivedere ed eventualmente sanzionare i presidi e i professori che portano a termine uno scrutinio scolastico o un gruppo di medici e di sanitari nell’atto di pronunciare una diagnosi o di compiere un’operazione.

Allo stesso atteggiamento (o analogo) va condotto il principio secondo cui i grandi poli museali del paese non possono essere retti da Soprintendenti collocati nelle strutture dello Stato, e andrebbero invece demandati a manager non pubblici, la cui formazione e scelte dipenderebbero unicamente dalla capacità loro di fare fruttare il patrimonio culturale, che si sono trovati a gestire (con criteri inevitabilmente politici).

In difesa del Sistema

Ce n’è abbastanza, insomma, sull’uno come sull’altro versante, per prevedere e organizzare una vera e propria guerra contro questa spropositata pessima tendenza. Osservo semplicemente, a questo proposito, che, al di là delle molto spesso troppo arzigogolate discussioni in merito alle cosiddette riforme istituzionali (Senato, e tutto il resto), qui, appare con evidenza massima che non c’è differenza, non c’è davvero nessuna differenza su questo più concreto terreno fra ideologia e visione del mondo del Ministro Lupi e quella del presidente del Consiglio Renzi. Ambedue appartengono a pieno diritto al partito unico della presunta razionalizzazione del sistema, la quale si rivela contraria, anzi antitetica non solo alle buone idee della sinistra ambientalista e democratica ma persino alla perpetuazione del vecchio sistema statuale borghese, imperfetto ma in una certa misura garantista.

Le associazioni ambientaliste e i Comitati hanno abbastanza voce per farsi sentire. Perché questo accada, non basta però la buona volontà. Bisogna avere la consapevolezza che questa è una battaglia decisiva, per organizzare la quale occorre preliminarmente una concertazione programmatica di grande serietà e intelligenza. Proviamoci.

© 2014 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE

domenica 27 luglio 2014

Caro Ministro Lupi, ti scrivo...

di PAOLO BALDESCHI  da Eddyburg.it 27 Luglio 2014

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Caro Ministro Lupi, sollecitato dal suo invito a partecipare a una consultazione pubblica nel sito del Ministero da lei presieduto, mi permetto di esprimere il mio pensiero 

Caro Ministro Lupi,

sollecitato dall'i
nvito a partecipare a una futura consultazione pubblica sul suo disegno di legge "Principi in materia di politiche pubbliche territoriali e trasformazione urbana", mi permetto, in anteprima, di esprimere il mio pensiero. Dopo avere letto, con una certa condivisione, nel primo articolo che "il governo del territorio consiste nella conformazione, nel controllo e nella ge­stione del territorio, quale bene comune di carattere unitario e indivisibile", sono stato insospettito dal fatto che lo stesso articolo recita che "le politiche del «governo del territorio» garantiscono la graduazione degli interessi in base ai quali possono essere regolati gli assetti ottimali del territorio e gli usi ammissibili degli immobili."

Di quali interessi si tratta? Il testo del disegno di legge lo chiarisce oltre ogni ragionevole dubbio: sono gli interessi dei proprietari immobiliari che devono essere tutelati, sostenuti e promossi dagli enti locali, che - volenti o nolenti - devono assecondarli con accordi fuori o dentro gli strumenti urbanistici. Di più: al di là delle petizioni di principio, appare con tutta evidenza che il disegno di legge considera il territorio come supporto neutro e indifferenziato per l'attività edilizia; di fatto, l'articolato non si occupa di paesaggio, ambiente, territorio, intesi come patrimonio della collettività ma di quanta volumetria vi si possa spalmare, in forma di espansione urbana (soprattutto) o di "rinnovo urbano", quest'ultimo usato come un grimaldello per aggiungere metri cubi a metri cubi. Che questa sia la finalità del legislatore Lupi, che non vorrei avesse come modelli culturali di riferimento le imprese dei vari Ligresti, Zunino e simili gentiluomini operanti nella sua Milano, è chiarito già al comma 4 dello stesso primo articolo su "oggetto e finalità della legge: "Ai proprietari degli immobili è riconosciuto, nei procedimenti di pianificazione, il diritto di iniziativa e di partecipazione, anche al fine di garantire il valore della proprietà".

Questo è il primo obiettivo della Legge; il secondo, complementare, è di sottoporre alla regia e ai voleri dello Stato (leggi: Governo) le eventuali Regioni che andassero contro corrente o reclamassero l'esclusività delle competenze in materia di pianificazione urbanistica; la legge introduce, infatti, un misterioso strumento di promulgazione statale, la Direttiva Quadro Territoriale (DQT), che "garantisce l’espressione della domanda pubblica di trasformazione territoriale che la pianificazione paesaggistica deve contemplare" Sì, avete capito bene: la DQT garantisce che la "domanda pubblica di trasformazione territoriale" (cioè alta velocità, grandi opere, e perché no, tutte le operazioni private battezzate in qualche modo di interesse pubblico) non sia ostacolata da fastidiosi intralci, come, ad esempio, i piani paesaggistici: con un rovesciamento dei valori e delle finalità sanciti nella Costituzione vigente che, non a caso, il duo Renzi-Berlusconi vuole stravolgere in senso autoritario.

E via via nell'articolato della legge è un crescendo di disposizioni dove l'urbanistica è intesa come contrattazione dei metri cubi con l'iniziativa privata: "La legge regionale determina per ogni ambito territoriale unitario ... i limiti di riferimento di densità edilizia" (art. 6). "Nell’ambito della formazione del piano operativo, i privati possono presentare proposte per operazioni di trasformazione urbanistica.... Le proposte, corredate da progetti di fattibilità, si intendono come preliminari di piani urbanistici attuativi" (art. 7). "La disciplina della conformazione della proprietà privata... rispetta il principio di indif­ferenza delle posizioni proprietarie". "Le operazioni di rinnovo urbano possono essere realizzate anche in assenza di pianificazione operativa o in difformità dalla stessa, previo accordo urbanistico tra Comune e privati interessati dalle operazioni" (art. 16). Fa da corollario l'abolizione degli standard di legge del DM 1444 del 1968, evidentemente per ridurne la quantità minima obbligatoria, dato che nessuno ne impedisce una dotazione più generosa.

Il tutto in un testo che in non poche parti appare confuso e contraddittorio, ma da cui scompare non solo il governo del territorio "in tutte le sue componenti, culturali, ambientali, naturali, paesaggi­stiche, urbane, infrastrutturali" (art. 1), ma scompare anche la stessa urbanistica; l'evidente paradosso è che una legge che vorrebbe essere di modernizzazione non solo è culturalmente più arretrata della storica legge 1150 del 1942, ma sembra un tragicomico ritorno agli anni '50 e '60. E' cieca e sorda al fatto che "lo sviluppo" e la "competizione urbana" in Europa, nel 2014, si gioca sulla valorizzazione dell'ambiente, del paesaggio, della qualità della vita, sul risparmio di suolo (per incentivare il quale la legge - udite udite - propone di diminuire gli oneri di urbanizzazione a chi costruisce con maggiori densità). 

Nella legge del Ministro Lupi i veri protagonisti sono i diritti edificatori creati artificiosamente attraverso i principi di indifferenza, perequazione, compensazione e premialità (gli enti pubblici possono attribuire agli attori della riqualificazione urbana ulteriori metri cubi). Diritti edificatori che volteggiano sul territorio per atterrare dove proprietari e Comuni si mettano d'accordo. Un ulteriore corollario: gli enti locali dovranno adeguare i loro strumenti urbanistici, in sostanza rifarli ex novo, sulla base di una disciplina paesaggistica e alla nuova legge fra loro conflittuali nella sostanza e incompatibili da un punto di vista giuridico.

Mi permetto, in conclusione, di dare un consiglio al Ministro Lupi. Getti il suo disegno di legge nel cestino della carta straccia. Si ispiri a delle buone leggi regionali di vero "governo del territorio", ad esempio al disegno della nuova legge toscana. Sostituisca o integri il team che ha formulato la Legge, composto quasi esclusivamente di avvocati e di esperti di diritto con qualche vero urbanista, oltre al buon Franceso Karrer, in questi giorni da lei nominato Commissario dell'Autorità portuale di Napoli. E per gli amici di eddyburg un invito: partecipate numerosi alla consultazione promossa dal Ministro. Sperando che qualcuno nel governo si ravveda: il governo del territorio non è cosa che riguardi solo il Ministro delle Infrastrutture. Rifiutare la legge Lupi - più ancora che l'articolato  principio che lo ispira, la sacralizzazione di un diritto edificatorio ubiquitario - non è di "sinistra" o di ispirazione ambientalista, ma solo mossa di buon senso: vale a dire essere consapevoli che garantire e cristallizzare la rendita immobiliare e pensare all'edilizia come propellente dell'economia è quanto meno di moderno e intelligente si possa fare in un paese dove (dati ISPRA 2013) si consumano annualmente quasi 22.000 chilometri quadrati di suolo. Ma evidentemente per Lupi e Co questo non è ancora sufficiente.

Riferimenti
Si veda su eddyburgRiforma urbanistica: una proposta preoccupante di Mauro Baioni

sabato 26 luglio 2014

Geotermia: Bagnore 4, il Comitato fa appello al Consiglio di Stato

"Amiata Bene Comune" amiatabenecomune@inventati.org

dal Tirreno 26-7-2014
SANTA FIORA

Sos Geotermia non si arrende e, convinta che l'autorizzazione concessa dalla Regione Toscana alla costruzione della nuova centrale geotermica di Enel Green Power sull'Amiata sia stata rilasciata con sostanziali violazioni di legge, fa appello al Consiglio di Stato. Le carte sono state inviate la settimana scorsa, col sostegno del Forum Ambientalista e del Wwf, attraverso l'avvocato Nunzi. «Siamo fiduciosi che il Consiglio di Stato vorrà approfondire le motivazioni, che pure erano state presentate al Tar, e riconoscerne la fondatezza fermando lo scempio che si sta aggiungendo alla già grave situazione in Amiata», spiega Sos Geotermia.
Nei prossimi giorni saranno rese pubbliche le motivazioni del nuovo ricorso. «Di certo la lotta contro la geotermia industriale dannosa non finisce entro il perimetro giudiziario – prosegue Sos Geotermia – ma investe il campo sociale e politico. Da Arcidosso arrivano segnali di forte preoccupazione tra i cittadini che iniziano a subire gli effetti della centrale e del cantiere di Bagnore, solidarietà e sostegno concreto ai comitati che si stanno mobilitando in aree finora non interessate direttamente dalle centrali, come Montenero, Monticello, Cinigiano». Di questi giorni sono le notizie della netta presa di posizione dei sindaci del versante grossetano contrari all'ipotesi della centrale di Montenero. «Ci auguriamo – spiega Sos Geotermia – che la prospettiva di una proliferazione selvaggia di trivelle abbia provocato un momento di riflessione sulle prospettive che si vogliono dare a questo territorio e che da questo si passi a ridiscutere anche delle ben più inquinanti e dannose centrali esistenti
e previste sia a Bagnore che a Piancastagnaio.Dialogo aperto con il nuovo sindaco di Abbadia Tondi, con il quale ci siamo incontrati, presente il dott.Borgia, al quale abbiamo rappresentato tutte le ragioni che debbono impedire la crescita di questa geotermia Enel in Amiata e che proprio da Abbadia, che già lo scorso anno in consiglio comunale si era espressa contro, possano partire proposte e progetti verso gli altri comuni per un futuro libero dalle centrali e che investa e punti sulle qualità del territorio».

Divieto di caccia in 340 ettari della Piana Fiorentina

WWF Italia Onlus - Siena
Tommaso Addabbo




Appello urgente per tabellare il divieto di caccia in 340 nuovi ettari della Piana Fiorentina prima della preapertura di settembre

Cari amici,
vi chiediamo di dedicare insieme a noi un giorno per chiudere alla caccia una nuova porzione della Piana Fiorentina.
Dopo tutto il lavoro che da decenni stiamo portando avanti sulla Piana Fiorentina che ha permesso la creazione di un sistema di aree protette in questa pianura, con ulteriori ripetute richieste, pressioni e contatti istituzionali siamo riusciti nel nuovo Piano Faunistico-venatorio provinciale di Firenze a fare istituire un’altra area di divieto di caccia nella Piana. Si tratta di ulteriori 340 ettari sottratti all’oltraggio venatorio, nel territorio  di Campi Bisenzio.
Si pone però adesso il solito problema della tabellazione. La Provincia afferma di non avere fondi e che quindi non potrà tabellare prima della fine dell’anno (se non anche oltre). Ciò significherebbe regalare ancora un anno ai cacciatori e lasciar uccidere un alto numero di animali, che potrebbero invece sfuggire alle doppiette.
Come già effettuato in un’altra occasione vari anni fa, la Provincia ci darebbe però, sulla base di una nostra precisa richiesta scritta (che ovviamente abbiamo già inoltrato la settimana scorsa) l’autorizzazione a procedere noi con la tabellazione.Dobbiamo in tal senso sopperire al problema del personale, grazie ai volontari, e anticipare anche le spese di materiale, che ci saranno rimborsate forse a dicembre.
Si tratta di uno sforzo importante, che vorremmo in tutti i modi riuscire a fare.
Dato che siamo ormai giunti al periodo in cui la maggior parte delle persone va in ferie, abbiamo deciso di concentrare le operazioni di tabellazione nell’ultimo week-end di agosto (sia sabato 30 che e domenica 31 agosto), proprio prima dell’inizio della sparatoria della preapertura (lunedì 1 settembre).
Abbiamo bisogno di tante persone che ci diano una mano (in entrambi i giorni o in uno solo dei due). Saranno due giorni intensi, ma crediamo di grande soddisfazione per chi vi parteciperà. Non capita tutti i giorni di poter andare in giro a chiudere con la propria opera un territorio alla caccia.
Chiunque può partecipareNon vi preoccupate se non conoscete bene l’area oppure non avete mai effettuato operazioni di tabellazione. Per riuscire a chiudere alla caccia tutta l’area formeremo per l’occasione vari gruppi guidate da persone esperte della zona e della procedura di tabellazione, che però avranno bisogno del supporto di tante altre bracciaInoltre, se qualcuno ha mezzi utili per trasportare pali e attrezzi (furgoni, camioncini o similari) e li potesse mettere a disposizione in queste date, darebbe un ulteriore contributo importantissimo all’operazioneNon si tratta di lavori pesanti: c’è certamente che pianterà i pali ma sono necessarie molte più persone che trasportino via via lungo i confini e le strade interne materiali vari come le tabelle stesse, le fascette o le viti per attaccarle sui pali, gli avvitatori, etc. e che li porgano via via nei punti dove saranno posizionati questi segnali.
Due grandi giornate quindi da mattina a sera per chiudere definitivamente la caccia in quei luoghi!!!
Vi chiediamo di segnalarci al più presto chi potrà essere presente, in modo da poter definire quanti saremo e come organizzarci. Essendo nel periodo classico delle ferie molti di voi avranno già fatto ad oggi una piano estivo delle proprie e quindi probabilmente sapere fin da subito se in quel weekend sarete già tornati o ancora in viaggio non dovrebbe essere difficile.
Se le adesioni fossero troppo poche, saremmo costretti a rinunciare, ma sarebbe molto triste (per noi e per i piccoli abitanti alati della Piana).
Potete segnalarci le vostre adesioni all’indirizzo:
carlo.scoccianti@alice.it (cell 3383994177)
Dedichiamo insieme un weekend di fine estate per dire un NO concreto alla caccia!!!
Grazie e un saluto a tutti

                                                                                                                                             Carlo e Guido Scoccianti



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M.Cristina Sadun
Referente Regionale Area Rete Territoriale del WWF Italia ONG ONLUS

Via Cavour 108  -  50129  FIRENZE
tel./Fax +39 055 477876
cell. +39 320 4450154
visita il sito: www.wwf.it/Toscana

giovedì 24 luglio 2014

WWF Savona. Comunicato Stampa: Abbattimento di 18 Tigli in Via Leonardo da Vinci, ad Albenga.


              

Savona, lì 24/07/2013

WWF Savona
c/o ACLI
Piazza G.Marconi 2
17100 Savona

Tel: 019.824598
Fax: 019/807442
e-mail: savona@wwf.it
sito: www.wwf.it




COMUNICATO STAMPA

Oggetto: Abbattuti 18 Tigli in Via Leonardo da Vinci ad Albenga.
Lettera aperta al nuovo Sindaco, Avv. Cangiano.


Egregio Sig. Sindaco, 

come esponenti del WWF Savona apprendiamo con vivo rammarico la notizia dell'abbattimento di ben 18 TIGLI
in Via Leonardo da Vinci, nel Comune di Albenga.

Inizialmente annunciati per l'autunno, i numerosi abbattimenti sono invece stati anticipati, in piena stagione estiva,
nel momento in cui gli alberi stavano dando alla citta', agli abitanti e ai turisti il massimo di ossigeno, ombra, refrigerio e bellezza!

Abbiamo difficolta' a credere che tutti e 18 i Tigli rappresentassero una "emergenza sicurezza" tale da dover far anticipare l'abbattimento di tutti e 18 in una stagione cosi' inopportuna per gli abbattimenti, tenendo anche conto del periodo nidificatorio per la piccola aviofauna cittadina.

Il WWF procede quindi con la richiesta  al Comune di copia degli Atti Amministrativi inerenti le autorizzazioni, comprensivi delle Perizie degli Agronomi che hanno portato alla decisione di abbattere questo gran numero di Alberi.

Il WWF chiede ufficialmente se il Comune provvedera' prontamente al loro reimpianto, con giovani alberi di pari classe ed idonea grandezza.

Ricordiamo che gia' nel 2011, una delegazione del  WWF Savona ha consegnato al Sindaco Signora Rosy Guarnieri  una Pubblica Petizione con oltre 700 firme di cittadini di Albenga, raccolte a favore della tutela degli Alberi della citta'.

Constatiamo infatti con soddisfazione come un numero sempre maggiore di abitanti della Citta Ingauna  stia in effetti mostrando una grande sensibilta' in tema di attenta gestione degli alberi di Albenga..

Ricordiamo altresi' che ogni albero sul suolo pubblico, dal punto di vista giuridico, e' un Bene  di proprieta' dello Stato Italiano  
e come tale va amministrato dai Responsabili Comunali.

Confidiamo che il nuovo Sindaco di Albenga, Avv. Cangiano, voglia proseguire con determinazione
la buona tradizione della Citta' di Albenga per quanto riguarda la gestione del Verde Pubblico
e  vigili affinche' gli abbattimenti siano sempre l'ultima opzione da prendere in considerazione.

Invitiamo l'Amministrazione Comunale a seguire, in questo senso, il recente Progetto di piantumazione di
300 giovani alberi, da parte dell'Assessorato all'Ambiente della Citta' di Savona.



Stefano Gatti
Delegato alla Tutela del Patrimonio Arboreo

Anna Fedi
Presidente
WWF Savona




"Lo scopo finale del WWF e' fermare e far regredire
il degrado dell' ambiente naturale del nostro pianeta
e contribuire a costruire un futuro in cui l' uomo
possa vivere in armonia con la natura."



                                                                                                     
                                                                                                

LETTERA APERTA AI SENATORI PD

di Pancho Pardi, Il Manifesto, 24 luglio 2014

Comincia, col voto sugli emendamenti, l’ultima fase del percorso legislativo della riforma del Senato.
Con essa il Parlamento invece di dedicare le sue migliori energie alle difficoltà più pressanti del paese (lavoro, economia, gestione del territorio) si impegna a cambiare la sua ossatura istituzionale. Non lo chiede affatto l’Europa, preoccupata invece per la nostra salute economica.
Lo chiede il patto Renzi-Berlusconi.
Il punto di partenza è il più ferreo principio berlusconiano: la Costituzione non dà a chi governa gli strumenti per farlo. Sapete bene che non è vero. La prova l’avete in casa: i due governi Prodi sono forse caduti per colpa della Costituzione? La prova è anche fuori casa: l’enorme maggioranza berlusconiana della XVI legislatura è fallita per colpa della Costituzione?
Il corollario è: i governi non possono essere ostaggio di partiti piccoli o piccolissimi. Anche qui sapete bene che non è vero. Nelle crisi dei governi i killer sono forse i partiti piccoli ma i loro mandanti stanno proprio nelle maggioranze di governo.
In realtà chi non sa governare non vuole ammettere la propria inettitudine e rovescia le sue responsabilità sulla Costituzione.

Che il bicameralismo perfetto sia responsabile della difficoltà di governare è luogo comune indimostrato. Causerebbe lentezze, ma si sono viste leggi vergogna approvate in pochi giorni. Renderebbe barocco il processo legislativo, ma non è responsabilità di una Camera se l’altra le invia leggi mal scritte. Cosa succederà quando l’unica Camera scoprirà di aver scritto male una legge ormai promulgata?
Avevate la possibilità di disegnare un Senato delle regioni, oppure un Senato delle garanzie. Non avete preso né l’una né l’altra via. All’elezione diretta avete preferito la nomina di un ristretto ceto politico nazionale da parte del largo ceto politico regionale. Vi siete impegnati ad attribuirgli una varietà eterogenea di poteri ma li avete resi vani di fronte al risolutivo voto della Camera.
In realtà il vero motivo per cui dovete declassare il Senato è la difficoltà di formarvi maggioranze certe. Ma ciò è il prodotto non della natura intrinseca del Senato bensì della peggiore legge elettorale mai concepita. Basterebbe cambiare in meglio la legge elettorale, ma vi apprestate invece a peggiorarla.
Con l’espediente della riforma del Senato sottraete a ogni vincolo e ogni controllo la restante unica Camera legislativa. La formate con liste bloccate di nominati dai vostri capi e l’elettore può solo decidere se votare o no, ma la scelta degli eletti sfugge alla sua volontà. La minoranza più grossa uscita dal voto diventa maggioranza artificiale con un enorme premio che solo con involontaria ironia può essere chiamato di maggioranza. E’ in realtà un vero e proprio premio alla minoranza.
E con esso una maggioranza artefatta può eleggersi il Presidente della Repubblica e, anche tramite i nuovi senatori di sua nomina (il 5% della futura assemblea, contro l’1,85 di quella attuale), determinare la composizione della Corte Costituzionale.
Espellete i partiti piccoli, e neanche troppo piccoli (fino al 7,9% dei suffragi!), dalla rappresentanza politica e vi appropriate del contributo dei partiti piccoli con voi coalizzati, che vi aiutano a raggiungere il premio, ma li tenete fuori dell’assemblea se si fermano al 4,4% dei suffragi. Così il voto di milioni di cittadini viene privato del diritto di rappresentanza.
Impedite la partecipazione civile con l’innalzamento da 50 a250 mila firme per la presentazione di leggi d’iniziativa popolare e da 500 a 800 mila firme per i referendum abrogativi. Evidentemente il successo strabiliante dei referendum su acqua, nucleare e leggi vergogna, vi brucia ancora.
Dimenticate che l’assetto costituzionale, confermato dalla sovranità popolare col referendum del 2006, sta per definizione a difesa e garanzia del cittadino e a limitazione del potere. Adottate invece una visione secondo la quale la democrazia si realizza soprattutto nella capacità di formare un governo, riducendo la rappresentanza politica a elemento di sfondo.
Col declassamento del Senato producete una dittatura della maggioranza a sua volta sottoposta alla volontà del suo capo. Disegnate una democrazia ridotta alla scelta di un capo ogni cinque anni.

Avete deciso di sostenere il vostro segretario nazionale al ruolo di capo del governo con la speranza che con lui a avreste potuto concludere la legislatura. Prima della decisione eravate ancora padroni del vostro destino. Ora non lo siete più. Avete un capo che vi impone la sua volontà prima ancora di essere eletto. Si comporta come se fosse già eletto direttamente dal popolo e vi ricatta: o votate la riforma o salta la legislatura.

Poniamo che votando la peggiore deformazione costituzionale dell’età repubblicana riusciate a guadagnarvi la fine regolare della legislatura. Ma il futuro si prospetta più difficile: l’elementare legge fisica dell’impenetrabilità dei corpi scoraggia le speranze. Quanti degli attuali senatori potranno spodestare qualcuno tra i 630 deputati che sperano a loro volta, con la loro fedeltà blindata, nella conferma alla Camera? E’ dura: gli attuali 315 senatori e 630 deputati devono pigiarsi per occupare i soli 630 seggi della Camera. Qualcuno di loro potrà tentare di divenire consigliere regionale o sindaco per aspirare a entrare nei 100 del nuovo Senato, ma non sarà facile.

Vale la pena sottoporsi a un’avvilente umiliazione per l’obbiettivo finale di realizzare la deformazione costituzionale sempre voluta da Berlusconi?
Pensate che il vostro elettorato vi ricompensi per questa scelta?
Non capite che la vostra fretta per strozzare la discussione in aula degli emendamenti vi fa uguali in tutto e per tutto a Berlusconi?
Non vi viene il dubbio che l’elenco dei vostri nomi potrebbe essere scolpito nell’albo nero dei decostituenti?
Ricordate che la vostra elezione-nomina è avvenuta grazie a una legge che per la Consulta è gravata da pesanti profili di incostituzionalità.
Vi auguro di sapervi fermare prima di stravolgere una Costituzione che non avete il diritto di toccare.

domenica 20 luglio 2014

I PERICOLI PER LA DEMOCRAZIA DEL PROGETTO di Renzi e Berlusconi

di Alberto Burgio da Il Manifesto del 20-7-2014


Indispettito dal persistere della  dissidenza e dalle  accuse di autoritarismo rivolte ai suoi disegni
«riformatori», il presidente del Consiglio segni d’impazienza. Irride e fa del sarcasmo gratuito.
È tipico  di chi mal tollera le critiche, ma in questo caso  c’è di più. Sta  finalmente emergendo il senso delle  grandi manovre in corso: la «cosa  stessa» su cui si gioca  la partita. Si può dire  così, in estrema sintesi: viviamo  (da anni)  nel pieno  di una  crisi  democratica che  ora  minaccia di sfociare in un regime. La formula suona estremistica, eppure è la descrizione fedele della  situazione. Vediamo perché.

Da vent’anni a questa parte in Italia si opera per  manomettere il rapporto di rappresentanza – essenza di una  democrazia parlamentare e per  ampliare la distanza tra  «paese reale» e «paese legale». In una  lunga transizione (lunga ma tutto sommato rapida, considerata la portata delle  tra- sformazioni) si è venuto modificando il sistema in senso maggioritario-bipolare al solo scopo  di auto- nomizzare le istituzioni politiche dal terreno sociale e dai suoi conflitti. Questa è stata la bussola delle «riforme» per  la «governabilità» che  hanno segnato la via italiana alla post-democrazia. Era, per esempio, l’obiettivo della  dottrina del «taglio delle  ali», formulata, tra  gli altri, da Massimo D’Alema.

La centralità (anticostituzionale) dell’esecutivo discende da qui, poiché, correlata alle sole posizioni dominanti, la prassi politica si risolve nell’applicazione del paradigma governamentale, con tutti
i suoi corollari autoritari e familistici, compreso il proliferare delle  logiche mafiose di appartenenza che  ormai dominano ogni ambito istituzionale. La stessa corruzione dilagante è in buona misura riconducibile a questo processo. Perché l’autosufficienza incoraggia la decadenza etica delle  istit- uzioni,  e perché un ceto  politico che  si costituisce a valle di una  brutale amputazione della  rappres- entanza (e che  di fatto  agisce come  una  protesi esecutiva del governo) si compone perlopiù di attori interessati a percepire cachet sempre più profumati, all’altezza del tradimento perpetrato nei con- fronti della  democrazia repubblicana.

Questa è la storia degli  ultimi  vent’anni, la cui chiave di volta  consiste nella  distruzione dei partiti come  strumenti di rappresentanza e come  luoghi  di alfabetizzazione politica e di partecipazione democratica di massa.

Ma questa storia frutto anche della  cronica inadeguatezza di una  sinistra incapace di arginare l’offensiva reazionaria inaugurata  dalla  Bolognina approda oggi a un salto  di qualità. In questo senso la crisi  democratica di lungo  periodo minaccia seriamente di sfociare nella  costruzione di un regime.

Per un verso, l’eclissi  della  rappresentanza si traduce nell’irresponsabilità del governo di fronte ai devastanti effetti della  crisi  sociale. I dati  sulla  povertà, la disoccupazione, l’implosione dell’apparato produttivo e del sistema formativo sono  sconvolgenti. C’è materia per  varare un governo di salute pubblica che  subordini ogni obiettivo al varo  di misure straordinarie per  il rilancio dell’economia nazionale, con tanto di prelievo forzoso  e massiccio sui grandi patrimoni privati per  finanziare drast- iche  iniziative di investimento e redistribuzione. Niente di tutto questo avviene, come  ben  sappiamo. Il governo che  doveva  «cambiare verso» persevera, con un sovrappiù di populismo, nelle  politiche
pro-cicliche dei predecessori (precarizza, taglia la spesa, privatizza, aumenta la pressione fiscale sul lavoro)   per  tacere di altre oscene continuità, e in particolare dell’oltranzismo filoatlantico e guerr- afondaio. Perciò il ruolo  dei media è oggi strategico, fornendo l’«informazione» nei fatti,  una  rap- presentazione propagandistica un sostegno essenziale a un’azione di governo sempre più lontana


da ogni base reale di legittimità.

Ma questo non significa che  la politica stia  con le mani  in mano, al contrario. Per l’altro verso, essao- pera febbrilmente sul terreno delle  «riforme», impegnandosi in un processo costituente di enorme portata. Un nesso organico collega tra  loro i due  momenti l’eclissi  della  rappresentanza
e l’iniziativa «riformatrice» del governo nel senso che  le «riforme» mirano a costituzionalizzare l’assetto istituzionale più idoneo alla gestione oligarchica della  dinamica economico-sociale e più capace, al tempo stesso, di proteggere il sistema politico dai rischi conseguenti alla sua autoreferenzialità.

Sarebbe difficile  in questo quadro sopravvalutare la rilevanza del patto Renzi-Berlusconi. Lo si bia- sima,  a ragione, per  i suoi obbrobriosi profili  etici:  perché colui che  in questo ventennio ha incarnato la corruzione della  vita italiana ne viene  innalzato a padre costituente; e perché l’accordo è di certo in qualche modo  connesso alle vicissitudini giudiziarie di uno dei contraenti, serie anche dopo  la sua sorprendente assoluzione milanese. Ma la sostanza resta tutta politica.

L’intesa serve in primo  luogo  a garantire all’iniziativa «riformatrice» una  base parlamentare suff- iciente (almeno sulla  carta: di qui le reazioni scomposte del presidente del Consiglio al manifestarsi della  dissidenza).

Ma soprattutto il patto tra  i capi  del Pd e di Fi riflette e cementa una  convergenza di propositi antit- etici  all’ispirazione democratica e antifascista della  Carta del ’48. L’idea piduista che  accomuna
i due  contraenti è chiara: il partito che  vince  le elezioni (cioè la più forte delle  minoranze politiche) deve poter prendersi tutto. Quando Berlusconi si lamenta dell’impotenza dei governi, questo intende dire. E ha nel giovane leader «democratico» un discepolo concorde e diligente.

Come  le analisi di Massimo Villone mostrano in modo  incontrovertibile, il progetto «riformatore»
mira  a smantellare il sistema costituzionale dei contrappesi: a varare un regime autocratico nel
quale la maggiore delle  minoranze (al netto dell’astensionismo, il 20–25%  di un corpo  elettorale sem- pre  più disinformato e disorientato) possa eleggere un presidente della  Repubblica trasformato in protagonista della  scena politica (la politicizzazione del ruolo  costituisce la più grave tra  le gravi- ssime  responsabilità dell’attuale capo  dello  Stato) e, per  questa via, controllare tanto la Consulta (e
il Csm),  quanto il processo di formazione delle  leggi  ordinarie e costituzionali.

Naturalmente quello  che  oggi è un accordo tra  i due  padroni della  politica italiana è destinato a tra- sformarsi, una  volta  tagliato il traguardo della  «riforma», in una  competizione. Ma intanto è questo il cuore nero dell’intesa. E la ratio dell’agonia della  Costituzione repubblicana, alla quale inevita- bilmente assisteremo se non si riuscirà a sabotare il disegno eversivo.

A questo proposito, un’ultima considerazione. Data  la gravità della  minaccia, sarebbe necessaria la più vasta unità, nell’azione parlamentare, di quanti dissentono da tale  progetto «riformatore», oltre che  il massimo sforzo  per  avvertire l’opinione pubblica su quanto si nasconde dietro il pragmatismo del capo  del governo. Non è questo il momento delle  mezze misure.

Tutti  gli oppositori delle  «riforme» dai dissidenti democratici ai grillini, da Sel ai disobbedienti di Forza Italia e ai leghisti critici – dovrebbero ottimizzare le proprie forze  in parlamento per  fermare il progetto renziano-berlusconiano benedetto dal presidente della  Repubblica. Nella  consapevolezza che la salvaguardia del sistema costituzionale non è soltanto il più importante dei beni  politici comuni, ma anche la condizione necessaria per  una  dialettica democratica nel segno della  rappres- entanza reale della  società.


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